L’INVITATO – ROMANZO DI MASSIMILIANO ALBERTI

FRANCESCO DE FILIPPO

Introduzione

Può un lettore affezionarsi a un protagonista arrogante, antipatico, un po’ ladro all’occorrenza e disattento (incurante?) verso gli amici?

Leonardo ce le ha tutte e ce la mette tutta per farsi tollerare prima, odiare poi ed emarginare infine, seguendo un diffuso itinerario autodistruttivo.
A memoria, la letteratura non ha tanti esempi del genere. L’antipatico può perfino vincere – più spesso perde o viene allontanato – ma quasi mai coincide con l’eroe della storia. Scardinerebbe un’antica fiducia tra scrittore e lettore, che prima di tutto aprendo un libro o un e-book vuole trovarsi dalla parte del giusto o almeno del giustificabile.

Non è il caso de L’invitato, il cui primattore è tanto sfrontato, tanto masochista e tanto prevedibile è il suo percorso di vita da far pensare alla necessità intima e inconsapevole di lasciare disperatamente un segno – unghie sulla lavagna, grida strazianti, cocci e rottami – pur di farsi notare, di emergere da una foresta di nuche e smoking, di sentir pulsare il proprio cuore in un ambiente rarefatto e omologato.

Un vecchio trio di non più adolescenti della placida Trieste – abituato a vivere “sopra le righe”, ad accarezzare “l’eccesso” e a “rasentare il fondo” – si ritrova nel 2006 a Vienna perché Tommaso, il più benestante dei tre, sta avviando una galleria d’arte che intende importare un ultimo guizzo di arte Pop americana negli ovattati saloni dove ancora riecheggiano echi imperiali.

Ma i tre devono prima affrancarsi dall’etichetta di inattendibili, pressappochisti, impreparati, che si portano appiccicata addosso come tutti gli italiani (compresi gli abitanti di Trieste, città che dell’Impero d’Austria fu propaggine meridionale). Soltanto dopo potranno affrontare il mercato artistico e la buona società, su cui sono passati indenni gli scandali di Gustav Klimt, le denunce di Arthur Schnitzler e le esasperazioni espressionistiche di Kokoschka.

Il pop proposto dalla Brothers Art Gallery comporta insomma ancora una deflagrazione tra i calici tintinnanti e gli stucchi dorati ormai impolverati. Leonardo prende alla lettera questa icona e la trasforma in un frainteso stile di vita stravagante ed eccessivo dietro il quale celarsi.

Ma a Vienna non c’è l’università di Fragole e sangue né i rocker di Woodstock e il Sessantotto è passato da troppo tempo. Nell’atmosfera asburgica Leo mulina supponenza e insolenza come se fossero una spada. E pazienza se colpirà alla cieca: saccenti critici, arrampicatori sociali, giovani e belle donne abbacinate dal lusso, ma anche gli amici di sempre, fedeli maggiordomi, innocenti studentesse. Tutti fatti a fettine.

A scatenare il giovane è un disagio interiore, l’inadeguatezza etnica del disprezzato Italiener al cospetto dell’aristocrazia dell’aquila bicipite: illuminata ma irraggiungibile.
L’alcol, che potrebbe allentare le tensioni, acuisce invece le differenze, allenta i freni inibitori, svita i bulloni di necessarie sovrastrutture culturali.
Dunque, simile agli individui che una patologia nervosa costringe dall’“interno” a scatti e tic, così il giovane triestino obbedisce a una disperazione interiore e non riesce a trattenere parole gratuitamente taglienti con cui offende e critica.

Infine, quando individua il modo per compiere l’estremo sacrificio nel roboante percorso autodistruttivo, lo persegue con maniacale tenacia fino al suo compimento: come non innamorarsi della splendida Margarida? È bellissima, è inarrivabile, non nutre nulla per lui, e tutti gli hanno chiesto di non sfiorarla nemmeno, visto che è la fidanzata di un giovane della Vienna bene, utile alla causa della Gallery.

Dunque? Margarida diventa il suo obiettivo.
Quale migliore soluzione che immolarsi (inutilmente) alla splendida Margarida che nemmeno lo nota, portandosi a strascico guai e incomprensioni, per il taciuto progetto di distruggere se stesso ed essere costretto a tornare (rintanarsi) nella piccola colonia di Trieste?
Massimiliano Alberti è bravo a non spiegarlo ma a farlo intuire. Il lettore capisce ed è questa la ragione per cui si affeziona al reietto Leonardo, finalmente placato nel ritrovato ambito tergesteo scandito da stanche dinamiche familiari, facezie, bevute e la malinconia di un amore mai esaudito.

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